Una guerra senza armi - Vinarte

Vino nella storia – Così Roma punì Rodi rovinando il suo commercio – 4a parte della serie «Lungo le rotte del vino»

Con il passare degli anni e l’intraprendenza di altre realtà emergenti – come ad esempio quella di Cnido, un lembo di terra fertile poco più a nord di Rodi (oggi Turchia) – l’isola egea cominciò a sentire il fiato sul collo di altri concorrenti, a cominciare dai dominatori romani. Dopo la terza guerra macedonica, Roma decise di punire Rodi, scegliendo di colpire il suo punto più vulnerabile: il commercio, soprattutto quello del grano e del vino.

Per indebolire la prosperità della piccola isola dell’Egeo, Roma non ebbe bisogno di dichiararle guerra o di mandare le sue legioni. Un qualunque atto di forza sarebbe stato uno scandalo per il mondo greco, e Roma, quanto più poté, cercò di evitarlo: fu sufficiente infatti mettere in atto una misura più semplice e meno drastica. Con l’intento di portare disappunto e creare difficoltà per mezzo di una concorrenza sleale, Roma dichiarò la piccola isola di Delo, alleata di Atene: «porto franco».

In verità, dietro questa misura, ci fu lo zampino degli alleati di Roma; gli antigonidi, la dinastia che per due secoli aveva regnato in Macedonia e che cercava in tutti i modi di boicottare Atene, considerata una pericolosa avversaria. In poco tempo il commercio del grano, del vino e altri prodotti provenienti dal nord, passò nelle abili mani di mercanti che controllavano i magazzini e il porto di Delo, per farne merce di scambio e commercio per i traffici che attraversavano l’Egeo e il Mediterraneo.

Con Delo esente da tasse, iniziò così una nuova era. A subirne le conseguenze non fu solo Rodi, ma anche gli stessi nativi di Delo, dato che non a tutta la popolazione era dato di beneficiare del ritorno economico del traffico di vino. Per i locali produttori di vini e piccoli commercianti, la creazione del «porto franco» significò la rovina. Delo, lasciata in balia di banchieri e trafficanti, divenne la piazza ideale per i privati di professione, che potevano vendere senza problemi il frutto delle loro scorrerie. Anche la distruzione dei centri di commercio di Corinto e Cartagine causò la rovina di importanti comunità di ricchi mercanti mediterranei.

Coloro che riuscirono a sopravvivere e portare in salvo parte dei loro beni, furono costretti a cercare nuovi lidi disposti ad accoglierli e dove poter continuare la loro attività e i loro commerci. Pure in Medio Oriente, Siria ed Egitto, una nuova situazione di disagio economico e mercantile che si era creata consigliò ai mercanti di rivolgersi ai nascenti mercati del sud Italia.

Gli abitanti dell’Italia meridionale erano stati a lungo in stretti rapporti commerciali con il mondo greco, dapprima con Atene, in seguito tramite Rodi e Delo, con i quali trafficavano nei due sensi i vini dell’Egeo e i vini di Enotria. Alleati dei Romani e considerati essi stessi dei romani al cospetto del mondo mercantile d’Oriente, e dunque protetti dalle leggi e dagli eserciti di Roma, sia i Greci sia gli Italici – colonizzati culturalmente dagli ellenici, che occupavano le aree a sud della penisola – non si fecero sfuggire l’occasione di diventare protagonisti del nascente mercato, aumentando la produzione vinicola. Tutto ciò fu senza alcun dubbio agevolato dalla istituzione del «porto franco» di Delo. A testimonianza di quanto affermiamo, sono le centinaia di anfore vinarie e olearie ritrovate sulla piccola isola sulle quali sono impressi dei bolli italici.

Con capitali acquisiti durante le guerre che Roma condusse in Occidente e Oriente, i mercanti italici cominciarono a stabilirsi a Delo e ad attivare rapporti con i produttori di vino in Italia, i mercanti della bevanda in Grecia e in tutto il bacino Mediterraneo. L’influenza di Roma aprì altre importanti aree, avviando una nuova era commerciale internazionale, nella quale il vino avrebbe avuto un ruolo importante. Il resto fu merito dei primi grandi viaggiatori e conquistatori che svilupparono le relazioni commerciali tra il mondo greco ed ellenizzato e i Paesi poco o nulla toccati dalla civiltà greca. Nei nostri viaggi, abbiamo trovato tracce di ciò che stiamo scrivendo: in Iran, India, Asia centrale, confini della Cina, Arabia e naturalmente Europa.

Si cominciarono a codificare, divulgandone l’esistenza, le varie strade da percorrere, le vie dei traffici mercantili, a cominciare dal commercio carovaniero diretto verso Oriente. Il traffico aveva come protagoniste le vie fluviali della Mesopotamia, della Gallia, della Germania, la parte meridionale della Russia e i Paesi attraversati dal Danubio.

Importante e decisivo era il commercio marittimo, che per secoli aveva visto il solo Mediterraneo come scenario e che ora collegava molti Paesi tra loro. Il commercio locale avveniva, indifferentemente per via terra, veleggiando lungo la costa o attraverso i fiumi navigabili. Questo portò a scatenare una gara tra le regioni mediterranee interessate a produrre quantità di vino sempre maggiore, alla quale faceva riscontro una domanda in continuo aumento. Se per i mercanti l’enorme quantità di anfore vinarie giustificava il viaggio, più difficili si presentavano le operazioni mercantili per i Paesi che non si affacciavano sulle coste. Infatti, questi dovevano affrontare viaggi lunghi, lenti e costosi, con carri e animali da soma su strade sconnesse e pericolose.

Châteauneuf-du-Pape / Clos de l’Oratoire des Papes 2006
Su depositi di calcare (conchiglie) vecchi milioni di anni, si sono sedimentate sabbie e in seguito argilla dove il Rodano ha poi ricoperto con grossi sassi di quarzite e selce provenienti dalle Alpi. Su questi terreni si produce il Châteauneuf-du-Pape, vino che ha pochi paragoni in fatto di celebrità, passando dalla più grande notorietà a momenti di oblio.

I vini di questa «enclave» del Basso Rodano sono famosi perché prodotti con quasi tutti i vitigni autorizzati in questa regione, 8 rossi e 5 bianchi. «Clos de l’Oratoire des Papes», situato presso il castello che domina il villaggio, è prodotto con ceppi centenari di Grenache, Syrah, Mourvèdre e Cinsault. Questo mitico vino canalizza la potenza del sole in un clima mediterraneo, senza sacrificare l’eleganza. Possente, ma non pesante, bisogna avere la pazienza d’aspettare una decina d’anni prima di gustarlo. Il nostro 2006 è perfetto in questo senso, complesso e ampio con i suoi sentori di frutti rossi maturi, seguiti da tabacco, liquirizia e tartufo, è l’ideale per la vostra sella di capriolo, il fagiano arrosto, ma provatelo sulla famosa «canard à l’orange».

 

/ Davide Comoli