Il Metodo Biologico Dinamico - Vinarte

Il vino nella storia – Detto anche biodinamico, questo modo di lavorare la terra e coltivare prese spunto da alcuni agricoltori polacchi, alla conferenza di Koberwitz nel 1924

Tra gli anni Sessanta e Settanta, un gruppo di persone, vignerons, agricoltori, orticoltori e altri, senza che si conoscessero per forza, ebbero un’idea comune: quella di lavorare la terra e coltivare le piante (legumi, cereali, vigne, ecc.), senza ingrassi chimici né erbicidi o insetticidi di sintesi, ciò con lo scopo di poter raccogliere e offrire dei prodotti di qualità esenti da residui nocivi.

L’idea del metodo di coltivazione biodinamico a dire il vero venne già più di trent’anni prima a Rudolf Steiner: spirito universale, influenzato dal genio di Goethe. Correva l’anno 1924 quando rispondendo alle domande di alcuni agricoltori durante una conferenza a Koberwitz in Slesia (Polonia), nacque il metodo biologico dinamico.

Il metodo fu poi messo a punto da uno dei suoi discepoli, il dottor Ehrenfried Pfeiffer, che negli anni Cinquanta sperimentò lui stesso in molti Paesi e creò, seguendo le direttive di Steiner, un laboratorio biochimico a Dornach.

La preoccupazione per la salute umana e per l’ecologia ha rafforzato negli ultimi tempi la ricerca dei prodotti biologici. Questo tipo di agricoltura propone il raggiungimento di obiettivi di carattere ambientale come la salvaguardia del territorio e lo sfruttamento meno intensivo dei terreni, usando metodi naturali per la lotta ai parassiti.

A interessare anche noi del mondo del vino al fenomeno Bio, sono le decine di bottiglie marchiate con questo brand che ormai si trovano sugli scaffali un po’ ovunque.

Come viene prodotto un vino biologico? Qual è la differenza tra questi e un vino tradizionale?

Già nella sua De Naturalis Historia, Plinio sottolineava «che i frutti fermentano spontaneamente», quindi la vinificazione non è nient’altro che cercare di perfezionare questo processo naturale.

L’obiettivo dell’agricoltura biologica vuole mantenere, finanche esaltare questa produzione «naturale», non utilizzando prodotti chimici di sintesi per la concimazione e la difesa dai parassiti. Per cui la concimazione viene effettuata con l’uso di concimi organici (letame), mentre per la difesa delle colture si interviene con tecniche di coltivazioni preventive e per l’appunto con trattamenti di origine naturale. Quindi niente metabisolfito, carboni attivi, antiossidanti, ecc. La viticoltura biologica dipende dalla maturazione dell’uva e della sua qualità al momento della vendemmia.

I vini biologici hanno per anni vissuto sperimentazioni da parte dei produttori, con l’interesse per la loro crescita varie ricerche hanno portato a migliorare la produzione con prodotti naturali che contrastano quella effettuata coi prodotti chimici, cioè hanno portato a migliorare la vinificazione tradizionale.

Anche se rimangono ancora delle incertezze sulle leggi europee – che portano, soprattutto da parte dei consumatori, un po’ di perplessità in merito alle etichette dei vini biologici – oggi possiamo degustare ottimi prodotti che rispettano la natura e l’uomo.

Sul modo in cui deve essere prodotto un vino biologico o biodinamico (i quali hanno molti punti in comune) le idee sono chiare. Entrambi devono seguire alcune «linee guida» come: la vendemmia deve essere fatta manualmente; le uve devono essere poste in piccole cassette e vinificate il più rapidamente possibile, onde evitare fermentazioni anticipate; alle uve viene applicata una diraspatura e pigiatura soffice, utilizzando presse pneumatiche orizzontali; l’avvio della fermentazione deve essere prodotta con un pied de cuve senza utilizzare additivi e coadiuvanti tecnologici; il mosto deve essere ossigenato tramite follatura; l’uso della SO2 (anidride solforosa) deve essere attento (20 mg/l al massimo) abbinato all’uso di gas inerti quali azoto e anidride carbonica.

Nel frattempo il vino «biodinamico» sta assumendo un ruolo di grande rilievo nel mondo viticolo. Dalla filosofia agricola che fa tesoro degli insegnamenti di Rudolf Steiner e prima ancora di Wolfgang Goethe, il francese Nicolas Joly viticoltore della Loira e produttore del famoso Coulée de Serrant ha ideato un metodo che ha rivoluzionato il mondo del vino.

Queste le sue regole di produzione: la vinificazione viene fatta in correlazione con particolari configurazioni planetarie; il confezionamento, con imballi riciclabili e in cantina; le vasche sono raffreddate; le sostanze immesse sono: il bianco d’uovo Demeter o biologico; la Bentonite è certificata priva d’impurità; carbone vegetale per i vini frizzanti; uso solo di anidride carbonica e azoto; stabilizzazione a freddo; filtrazione con filtri a cellulosa e terre diatomee.

Inoltre il biodinamico usa piccole quantità di proporzioni naturali specifiche basate su sinergie tra regno animale e vegetale. Anche noi fummo sorpresi nell’apprendere che alcuni grammi per ettaro di queste preparazioni dinamizzate nell’acqua possono avere effetti importanti. In pratica, nella biodinamica vengono usate la capacità energetica della terra e delle piante, aiutandole a ricevere meglio le forze della vita.

In questo genere d’agricoltura non viene usato nessun trattamento che non sia naturale, si lascia quindi che la natura faccia il suo lavoro. Eppure, ad esempio, passando 100 grammi per ettaro di una preparazione di feci di mucca che è stata sotto terra per tutto l’inverno in un corno di mucca dinamizzato per un’ora, si riescono ad avere degli effetti di fertilità superiori all’uso del solito letame. Queste preparazioni vengono passate più volte all’anno.

È da pochi giorni che i deputati del Cantone di Neuchâtel hanno approvato una mozione (65 favorevoli, 35 contrari), che chiede al più presto un piano di conversione delle proprietà agricole e viticole del Cantone in coltura biologica.

Ma attenzione, la maggior parte del gusto dei vini tradizionali è ottenuto con lieviti aromatici, ciò che non succede nei vini biologici, per cui non vi resta che provarli. Secondo noi, questi vini preparati con tecniche e criteri particolari, vi conquisteranno per la loro bontà e soprattutto la loro tipicità.

Falanghina – Feudi S. Gregorio
La Falanghina è un antico vitigno che forse costituiva la base del famoso «Falerno». Troviamo la prima citazione di questo vitigno tra le varietà coltivate nei dintorni di Napoli nel 1825 (Acerbi). Il nome Falanghina sembra derivi dal fatto che la vite, a portamento espanso, veniva legata a pali di sostegno detti falanga, perciò Falanghina «vite sorretta da pali».

Feudi di San Gregorio di Sorbo Serpico (AV) è un modello di studio aziendale analizzato in diverse Università, in quanto si tratta di una delle aziende meglio strutturate del sud Italia, con circa 250 ettari vitati.

La Falanghina è un vitigno di enorme potenziale, dal colore giallo paglierino intenso e luminoso, al naso scopriamo toni di frutta gialla tropicale, alle quali s’intrecciano profumi di nocciole e delicate spezie. In bocca è molto piacevole e intrigante, ma anche molto fresco. Lo consigliamo con del salmone fresco o lievemente affumicato, appena scottato, ma anche con pesce spada o tonno e sformati di verdure.

/ Davide Comoli