L’allevamento della vite ai piè del monte - Vinarte

Bacco Giramondo – Continua il viaggio vitivinicolo nelle regioni d’Italia entrando in punta di piedi in Piemonte

La corona di vallate protette dalle vette delle Alpi, che lo circondano, dà il nome al Piemonte che letteralmente significa proprio «ai piedi del monte»; non c’è termine migliore per rappresentare la morfologia di questa regione. Infatti il perimetro della regione è contornato per i tre quarti (sud, nord, ovest), da montagne (Alpi e Appennino Ligure) che proteggono il territorio favorendo un clima freddo, temperato e continentale.

Con ancora maggior precisione possiamo dire che le montagne occupano il 43,3% del territorio, la pianura il 26,4% e le colline il 30,3%. Ed è proprio sulle colline che si è sviluppata la viticoltura piemontese, dove la vite s’insedia sui versanti a sud, est e ovest e lascia le altre colture sul lato nord. In collina la vite condivide forme di allevamento basse (guyot e cordone speronato), mentre le forme alte sono poco diffuse e concentrate localmente (Erbaluce di Caluso e altre aree del nord come la Val d’Ossola).

Con inverni lunghi e freddi, estati siccitose e percettibili escursioni termiche tra la notte e il giorno, ogni zona del Piemonte ha peculiarità diverse relative a precipitazioni e temperature. Con questa variabilità, l’uomo nel corso dei secoli ha saputo sviluppare accurate selezioni dei vitigni più adatti alle varie aree, applicando specifici metodi di coltivazione.

Un esempio di come il terreno, il clima e il vitigno, grazie all’opera dell’uomo possono produrre vini dalle diverse caratteristiche è dato dal Nebbiolo che occupa circa il 14% del vigneto piemontese. Oltre a essere la base dei più aristocratici vini del Piemonte, il Nebbiolo è forse il più antico vitigno a bacca rossa della regione, con molta probabilità conosciuto prima ancora dei Romani dalle antiche popolazioni Liguri.

Nella Langa il Nebbiolo allevato su dei terreni compatti e marnosi, ricchi di argilla e gesso, dove le escursioni termiche sono meno accentuate, dona vini molto complessi, dai tannini ben presenti e profumi intensi. Al di là del fiume Tanaro, nel vicino Roero, dove abbiamo l’indice più basso di piogge della regione e terreni sabbiosi di basso fondale, i vini ottenuti da questo vitigno non necessitano di lunghi invecchiamenti. Per questo si possono gustare vini di precoce bevibilità, dai profumi molto accentuati. Mentre il Nebbiolo coltivato nelle zone di Novara, Vercelli, Biella (chiamato in loco con nomi diversi), su terreni acidi e ricchi di minerali, dà origine a vini molto sapidi e con una buona finezza olfattiva.

Il vigneto piemontese si estende per circa 50mila ettari, di cui oltre il 60% della produzione di vini (circa 2’600’000 ettolitri) è ottenuta soprattutto da uve rosse di monovitigno. Ma la ricchezza di questa regione, in cui i vini internazionali coprono circa il 6 % della produzione, è data dalla grande quantità di vitigni autoctoni coltivati, che ancora oggi costituiscono per l’appunto la gran parte della produzione regionale, in questa terra dove ben radicate sono le tradizioni.

Molti di questi (che assaggeremo visitando le zone vitivinicole) sono vitigni semi-sconosciuti che devono la loro riscoperta all’impegno e alla tenacia di alcuni viticoltori.

In Piemonte si produce vino in tutte le province, che possono essere suddivise in sei aree: l’Alto Piemonte, l’area pedemontana tra Saluzzo e Torino, il Monferrato Astigiano, l’Alto Monferrato, il Roero e le Langhe. Il vitigno più diffuso è la Barbera: da quest’uva derivano i vini rossi per antonomasia del Piemonte. Il secondo vitigno per diffusione (il terzo è il Nebbiolo del quale abbiamo già parlato) è il Dolcetto, che determina una decina di denominazioni: Alba, Diano d’Alba, Dogliani, Acqui, Asti, Ovada, Langhe Monregalesi, dei Colli Tortonesi, del Monferrato, Langhe.

Tra i vitigni a bacca bianca nell’Astigiano troviamo il Moscato, che oltre a essere il vino dolce spumante più famoso al mondo, si vinifica anche non spumantizzato e in vendemmie tardive.

Per gli amanti del turismo enogastronomico ecco qualche indicazione per andare alla scoperta di vini, magari un po’ rudi e austeri, da gustare senza fretta, aspettando che lentamente nel bicchiere rivelino la loro anima. Per coloro che conoscono a memoria i vari sentori dei vini più noti, consigliamo di visitare l’ampia zona pedemontana, a volte montana, che si estende tra Pinerolo e Saluzzo e tocca le montagne ai confini della Francia: siamo sulle pendici montane delle valli Chisone, Germanasca e Val Pellice.

In queste valli – dove NebbioloBonarda, Freisa, Dolcetto, Barbera, alle volte insieme, danno origine a vini rossi e rosati – la viticoltura è praticata da secoli. La particolare storia che ha segnato queste valli (definite le Valli Valdesi), ha creato una straordinaria varietà di vitigni e un eccezionale patrimonio ampelografico, che rischiava di andare perso dopo l’invasione fillosserica. Oggi, grazie al riaffermato desiderio di tutelare la singolarità della viticoltura locale, alcuni appassionati enologi e viticoltori locali si stanno impegnando nel recupero degli storici vitigni di queste valli.

Andare quindi a provare vini le cui radici vanno così in profondità nella storia è uno stimolo per ogni amante della sacra bevanda. L’occasione ci è stata data a Pinerolo, dove abbiamo degustato, accompagnati dai pregiati prodotti caseari locali (stupendi il seirass – ricotta piemontese – profumato al timo serpillo e il plaisentif, vale a dire il formaggio delle viole), il rosso Ramié – che prevede l’utilizzo dei vitigni Avané, Avarengo, Neretto e Plassa – un vino fruttato, leggero e fresco, e il Doux d’Henry, prodotto in circa 4500 bottiglie a vendemmia, dagli intensi profumi di mora e ciliegie che sfumano nel dolce; è l’ideale compagno per un piatto di salumi. Coltivato sulle colline intorno a Saluzzo, il Quagliano è invece un vino dal colore rosso tenue, con note di viola, dal sapore dolce e dai sentori di fragole; ideale se abbinato a una crostata di frutti di bosco.

Da Pinerolo raggiungiamo la A5 in direzione delle colline moreniche del Canavese, un po’ più a nord troviamo il Carema, un Nebbiolo allevato a pergola e che può invecchiare per decenni.

Fuori da San Giorgio Canavese, e passato Caluso, arriviamo sul piccolo lago di Candia, dove ci fermeremo per la notte. Siamo nella patria dell’Erbaluce; in autunno i grappoli di questo vitigno si accendono di riflessi ramati, leggermente rosati, con i quali si producono intriganti Spumanti, un Bianco fermo che abbiamo abbinato a una frittura di lago, ma soprattutto un Passito molto complesso, nel quale senza vergogna abbiamo a fine pasto intinto i famosi torcèt prodotti nella vicina Agliè.

/ Davide Comoli