La lunga tradizione vinicola della Basilicata - Vinarte

Bacco giramondo – Dalle terre vulcaniche di Vulture al Sasso di Matera

La Basilicata – il cui nome deriva probabilmente da «basilikos» (dal greco «imperiale», «reale»), tant’è che durante la dominazione bizantina tra il IX-X secolo d.C. il termine stava a indicare il governatore locale – s’affaccia per una breve striscia costiera sul golfo di Policastro, mar Tirreno nei pressi di Maratea e a sud est sul golfo di Taranto bagnato dal mar Jonio.

Il suo territorio ha una superficie di poco inferiore ai 10mila chilometri quadrati (9992), del quale il 46,8% è costituito da montagne, il 45,2% da colline, il restante 8% è pianeggiante. Confina a nord con la Campania e la Puglia, a sud con la Calabria.

Il clima è prevalentemente continentale, nella zona collinare jonica del Metaponto, si alternano estati calde e secche, con una leggera ventilazione, a inverni miti e piovosi, clima ideale per vini bianchi molto aromatici, ma di media struttura.

L’area collinare che degrada verso Matera, lungo la fossa bradanica, ricca di zone argillose e sabbie, dà origine invece a vini di grande complessità olfattiva e struttura come il Primitivo tra i rossi e il Greco tra i bianchi, mentre nel fondovalle, di origine alluvionale, troviamo terreni molto fertili che favoriscono la coltivazione di vitigni internazionali.

Nella zona del Vulture, nella parte nord est, troviamo il re dei vitigni di questa regione, l’Aglianico del Vulture, che qui ha trovato il sito ideale per esprimersi e donare vini di grande stoffa. I terreni che compongono il vulcano spento del Vulture (1326 m s.l.m.), sono composti da un piccolo strato superficiale di tufo di due metri, sopra terreni sabbiosi-limosi o argillosi. Il terreno è ricco di potassio e il tufo garantisce durante le estati con poca pioggia un buon apporto di umidità, assicurando ai vini prodotti, freschezza, sapidità e mineralità.

La tradizione vinicola di questa regione si perde nella notte dei tempi, Si pensa che furono i navigatori Fenici, venuti a contatto con il popolo dei Lyki, chiamati poi Lucani (Lucania era chiamata l’antica Basilicata), a far conoscere la viticoltura, ma con molta più probabilità i primi maglioli di vite furono portati in Basilicata dai coloni greci, sbarcati ad Eraclea, antica città della Magna Grecia (odierna Policoro). Le ricche vestigia archeologiche hanno restituito, fra l’altro, parte del tempio dedicato a Dioniso, con epigrafi dove sono descritti gli appezzamenti destinati alla coltivazione della vite.

Uno dei vanti di questa regione è quello di aver dato i natali al poeta Orazio (Venosa 65 – Roma 8 a.C.), che lodò le uve, i vini, i cereali e le olive della sua terra. In quei lontani tempi erano rinomati i vini di Buxentum (Policastro), di Thurium e quelli dei colli di Sibari come Lagaria, usato anche come medicamento.

La superficie vitata copre poco meno di 4500 ettari con una produzione di circa 190mila ettolitri; ma gli stili produttivi e l’aspetto ampelografico ci consentono di dividere la Basilicata in tre aree.

L’area più importante – per quanto riguarda la storia, l’attualità della vite e del vino di qualità – è senza dubbio quella del Vulture, in provincia di Potenza. Questo comprensorio vitivinicolo è legato a un complesso vulcanico oggi spento, che all’interno del cratere racchiude i laghi di Monticchio, inoltre comprende quindici comuni: Rionero in Vulture, Barile, Rampolla, Ripacandida, Ginestra, Maschito, Forenza, Acerenza, Melfi, Atella, Venosa, Lavello, Palazzo San Gervasio, Banzi e Genzano di Lucania.

In questa zona, tra i 200-500 m di altitudine, ha trovato il suo habitat ideale il vitigno Aglianico, il cui nome e il sistema tradizionale di allevamento manifestano inconfondibili derivazioni greche.

Dalle uve dell’Aglianico si ottiene uno dei più grandi vini del panorama enologico italiano, prodotto dai grappoli che maturano tardivamente, favorendo rossi potenti e corposi che necessitano d’invecchiamento per alcuni anni, quattro per il Superiore, prima di uscire sul mercato.

Le uve migliori, o meglio le uve di quella che viene considerata la zona migliore, si trovano tra i 550 e 650 m s.l.m., nei pressi di San Savino; tra Rionero del Vulture e Ripacandida, i vitigni sono allevati verticalmente con variazioni di «guyot», sostenuti da pareti di canne disposte generalmente a un metro di distanza l’uno dall’altro, ma in alcune zone si trovano anche a mezzo metro, con una densità forse unica al mondo, 20mila ceppi/ha. La buona versatilità di questo vitigno si presta all’elaborazione di rosati strutturati e di spumanti metodo Classico.

La Val d’Agri, sempre in provincia di Potenza, è un territorio molto interessante, i vigneti sono impiantati tra i 200-600 m s.l.m., su terreni ricchi di sabbia e argilla; da agosto a ottobre sfruttano le fortissime escursioni termiche. Servendosi di queste condizioni pedoclimatiche i vari Merlot, Cabernet, Sauvignon, Sangiovese e Montepulciano danno vini strutturati, molto profumati e speziati. Nel frattempo, nella zona di Roccanova, sempre in Val d’Agri, dove l’estate è breve, si va via via sempre più sviluppando la coltivazione biologica che riesce a tradurre molto bene le caratteristiche di questo «terroir».

Digradanti verso il mar Jonio troviamo il territorio che viene identificato come Matera DOC, che affida il toponimo alla famosa e unica città, Patrimonio dell’umanità, Matera, con il suo nucleo più antico, «il Sasso», dominato dal Duomo.

Il clima asciutto e caldo favorisce vini prodotti dal vitigno Primitivo, dai piacevoli profumi di ribes, lampone e note di pepe bianco, assolutamente da gustare – con i piatti della tradizione come la purea di fave e cicoria o i fusilli con le fave – l’ottimo bianco di Greco.

Particolare, il Moscato Dolce prodotto nel Vulture, da assaporare magari intingendoci gli ottimi biscotti con mandorle e noci. Un consiglio per i più golosi: non si può lasciare la regione senza aver provato la cotechinata, involtini di cotenna di maiale con battuta di lardo, aglio e prezzemolo o le salsicce locali, innaffiate da una vecchia bottiglia di Aglianico.

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Alambre Moscatel de Setúbal
La regione di Setúbal si trova a sud di Lisbona, tra i fiumi Tejo e l’estuario del Sado. È sulla Serra da Arrábida, formata da diverse composizioni di suoli argillo-calcarei che maturano le uve del Moscatel de Setúbal, godendo di un clima a dir poco canicolare. Risalente a vitigni portati dai coloni Greci, la sua dolcezza ricca, naturale, muschiata e la tendenza a fermentare in alta gradazione alcolica, ne hanno fatto un bene altamente commerciabile.
Già nel Medioevo era uno dei vini più apprezzati nelle corti europee, conosciuto con il nome di «Osoye».
La fortificazione del vino avviene, come per il Porto, arrestando la fermentazione con alcol di uva, ma lasciato poi a sedimentare sulle fecce durante l’inverno. Dopo circa sei mesi di sedimentazione si pigia (unico al mondo) la polpa dell’uva, e il vino che si ottiene viene messo in botti, pronto per un eventuale assemblaggio. Lasciato per cinque anni a livello del suolo per beneficiare delle variazioni stagionali di temperatura, il vino acquista maturità e concentrazione. Dal colore topazio che va all’ambra, con note di noce, datteri, scorze d’arancio pungenti e speziati, una fresca dolcezza che ricorda il miele, lo raccomandiamo di certo per accompagnare una sfogliatina al cioccolato e pasticceria varia, ma provate a consumarlo anche con un cremoso gorgonzola.

/ Davide Comoli