Alceo il simposiarca e Archiloco il guerriero - Vinarte

Vino nella storia – Due cantori delle virtù del divin dono che Dioniso fece agli uomini, ma molto diversi tra loro

Nel mondo greco, il senso dell’associazione era molto sentito: lo era dal punto di vista pubblico, privato, religioso e politico. Una tipica forma associativa fu «l’eteria» costituita fin dal V sec. a.C. I membri di questa associazione, o lega che dir si voglia, provenivano in gran parte, se non unicamente, dall’ambiente dell’aristocrazia. Essi si univano con un giuramento, sulla base della loro amicizia, di ideali politici e di affinità intellettuali. Dopo le loro cene e riunioni seguiva il simposio di cui abbiamo precedentemente scritto (v. Articolo del 16 novembre 2020).

In questo ambiente nacque la poesia individuale. Il poeta eseguiva i suoi carmi davanti a un ristretto auditorio di amici. Tra i personaggi protagonisti di questi simposi – e delle cui opere magistralmente tradotte da maestri come Salvatore Quasimodo, Raffaele Cantarella, Gennaro Perrotta, fortunatamente ci sono giunti alcuni frammenti – abbiamo scelto Alceo di Mitilene e Archiloco, due cantori delle virtù del divin dono che Dioniso fece agli uomini, ma molto diversi tra loro.

Alceo nacque a Mitilene, uno dei nuclei più importanti dell’isola di Lesbo, fertile di vigneti attorno al 630 a.C. e fu contemporaneo della poetessa Saffo, nella cui Tiaso – la comunità di educande da lei guidate, che onorava Afrodite dea dell’amore e della bellezza – il consumo del vino era un rito collettivo.

Dai frammenti delle sue opere, pare che Alceo, oltre ad essere stato il miglior poeta/cantore della sua «eteria», fosse anche frequentemente eletto «simposiarca». I pochi versi superstiti a noi giunti sono molto significativi e possono insegnare alcune cose riguardanti la funzione e l’atmosfera dell’«eteria» nel VI sec. a.C. e sul ruolo esercitato dal vino nella poesia.

Molti componimenti di Alceo trovano spunto nella vita politica. Ricco, alle volte arrogante, discendente da nobile famiglia, interamente immerso nella politica, subì ben tre condanne all’esilio in conseguenza alle sue scelte, e molti suoi contemporanei non mancarono di rimproverare il suo eccessivo amore per il vino. «Il vino, rivela l’animo dell’uomo» pare sia un pensiero espresso la prima volta proprio da Alceo, il quale riteneva che il «sacro licore» unisse gli uomini in un rapporto di solidarietà, quasi di complicità, certamente di fratellanza. Bere insieme mentre si discuteva di politica, riscaldava l’unità d’intenti, amalgamava il gruppo, preparava all’azione. Ad Alceo preoccupava soprattutto di contare su amici fidati, il vino viene appunto elogiato perché affratella nei sentimenti, inoltre «a Dioniso non si può mentire; Dioniso esige sincerità».

Alceo fu un saggio estimatore del vino, di ciò ne siamo certi e lo confermano le sue poesie che sono un vero cantico alle virtù di questa bevanda. Una fausta ricorrenza la festeggiava, ad esempio, così: «Ora bisogna ubriacarsi e gagliardamente bere, poiché è morto Mirsilio». (N.B. Mirsilio era un suo acerrimo nemico politico). Un’infausta ricorrenza, invece, necessitava conforto in questo modo: «Non bisogna abbandonare l’animo alle sventure, perché nulla gioverà l’affliggerci; o Bacchis: ma farmaco ottimo è farsi portare vino e inebriarsi». Ancora oggi è valido il detto: «bevi che ti passa», non è forse vero che il vino aiuta a sopportare meglio le ambasce della vita?

In uno dei frammenti di Alceo troviamo: «Beviamo, le lucerne perché attendiamo? Il giorno è solo un attimo. Prendi, amor mio le grandi bellissime coppe variopinte, il vino oblio dei mali, diede il figlio di Semele e di Giove ai mortali. Due parti mescola d’acqua, una di vino; riempi fino all’orlo il cratere. Ed una coppa spinga l’altra giù».

Quasi contemporaneo ad Alceo, Archiloco (VII a.C.), fu spinto dalla povertà a emigrare nell’isola di Taso e a divenire un soldato mercenario. Figlio del popolo ed esempio di uomo libero. Di temperamento esuberante e passionale fu il cantore di poesie d’amore e di odio; si ritiene che sia l’inventore dell’efficace «metro giambico», passato alla poesia italiana attraverso quella latina, ripreso anche da Giuseppe Carducci.

Archiloco, fa un mestiere decisamente anomalo per un poeta, è infatti un mercenario, ma da buon soldato sa che in fondo a dare sugo alla propria vita bastano poche cose: le sue armi, il cibo, il vino e il riposo. Un vino peraltro famoso proveniente dalle vigne di Ismaro, lo stesso vino che Ulisse fece bere a Polifemo. Quel vino sembra non abbandonarlo mai, lo accompagna in un campo di battaglia o sul ponte di una nave per una nuova avventura: «Orsù muoviti con la coppa tra le panche della veloce nave, stappa gli orci panciuti e mesci fino alla feccia il vino rosso». Dall’inebriante contenuto di quegli «orci panciuti» il poeta trae l’ispirazione per i suoi versi: «Io so come intonare il ditirambo. Il canto appassionato del mio Signore Dioniso, quando la mia mente è fulminata dal vino».

Nei frammenti di Archiloco, Dioniso palesa la sua autentica natura; offrire in ogni momento dell’esistenza quale fido compagno dell’essere umano.

Archiloco, consapevole della vita che gli spetta, non si riconosce nel rituale del simposio, ma si rivolge al dio del vino, con semplicità e umiltà. Nei versi del poeta/guerriero il vino non ha poteri liberatori, ma è semplicemente un ottimo companatico per il viver quotidiano: «Cenai con un piccolo pezzo di focaccia ma bevvi avidamente un’anfora di vino; ora l’amata cetra tocco con dolcezza e canto amore alla mia tenera fanciulla». Dopo una vita violenta, disordinata, avventurosa e piena di eccessi, concluse la sua esistenza ucciso in battaglia.

Noi, non siamo moralisti e non biasimiamo l’ebbrezza che il vino può dare, e ammiriamo Archiloco perché mai la sua cetra fu prezzolata al decoro di casate nobiliari ansiose di rispecchiarsi.

Scelto per voi

Bucaneve Spumante
Il Bucaneve, per chi ancora non lo sapesse, è stato il primo Merlot vinificato in bianco, e questa è stata di certo una svolta importante voluta dall’indimenticabile amico Adriano Petralli per la viniviticoltura del nostro Cantone.
Quello che vi consigliamo oggi è però un passo successivo al Bucaneve classico, si tratta infatti, di un bianco di Merlot spumantizzato; un prodotto voluto dalla nuova gestione della CAGI di Giubiasco, che fu fondata nel lontano 1929. Usando il metodo Charmat, la rifermentazione del vino avviene in autoclave anziché in bottiglia, con tempi di rifermentazione più brevi, grazie alla quale si realizzano vini beverini.
Il Bucaneve che oggi vi consigliamo ha un colore giallo trasparente con riflessi verdognoli. Presenta un fine perlage non troppo persistente e al naso arrivano fruttati accenti semplici di mela, pera e fiori bianchi, mentre in bocca è fresco, leggero di corpo e fragrante, con un finale gradevole senza troppe pretese. È l’ottimo vino per i nostri aperitivi di fine anno con i soliti stuzzichini.  Come tutti voi certamente sapete, il Bucaneve è anche il nome di un fiore, sinonimo di «speranza», che risorge dopo il duro inverno, ricordiamoci quindi di alzare bene i calici in modo scaramantico per brindare all’Anno Nuovo.

/ Davide Comoli