Il buon vino della Toscana centrale - Vinarte

Bacco giramondo – Non solo «Cantucci» e Vin Santo – Seconda parte

La provincia di Grosseto è ritenuta la Maremma per eccellenza; è costituita da una pianura al di sotto del livello del mare che verso l’interno diventa collinare. Il paesaggio è costellato di ulivi e vigneti. All’uscita di Gavorrano, siamo saliti al piccolo villaggio sopracitato, dove l’amico Carlo, maremmano puro sangue, ci ha fatto provare un Monteregio rosso, Sangiovese in purezza, dai tannini vellutati e di un’inaspettata struttura, gustato con un buon «formaggio pecorino» stagionato. Un veloce «risotto alla marinara» lo consumiamo a Porto Santo Stefano, dove gustiamo un esclusivo Parrina bianco (Trebbiano-Vermentino), all’ombra del Monte Argentario con vista sul golfo di Talamone. Con la nostra «guida», risaliamo verso Scansano, dove il vino Morellino di Scansano è diventato la bandiera della enologia Maremmana.

Il clima caldo e la scarsa piovosità permettono al Sangiovese, al raro Alicante Bouschet, al Canaiolo e al Ciliegiolo, una buona maturazione. Arroccato tra mura medioevali, il piccolo villaggio ospita un simpatico Museo del vino e accoglie pure noi. La sosta ci permette di gustare un Morellino Riserva, che ha subìto un’evoluzione in botte per 30 mesi: l’assemblaggio di Sangiovese 85 per cento e Alicante 15 per cento ha creato nel vino un meraviglioso connubio di forza e armonia; matrimonio d’amore, quello con lo «stufato di cinghiale con prugne secche».

Seguiamo la S322E e attraversiamo un tratto panoramico prima di raggiungere Pitigliano. La sosta è d’obbligo per gustare il famoso Bianco di Pitigliano, prodotto un tempo solo da Trebbiano Malvasia, ma oggi anche con l’ausilio dello Chardonnay, che dà origine a un vino gradevole e fresco, ottimo accompagnatore per i tipici «crostini», il più classico degli antipasti toscani.

Molti chilometri ci separano dalla prossima meta. È tardo pomeriggio quando, girato a destra di San Quirico e passata Pienza, arriviamo a Montepulciano, luogo incantevole di grande suggestione. Su terreni per lo più argillo-sabbiosi, tra ciottoli e fossili, le uve di Sangiovese, chiamato in loco Prugnolo Gentile, e quelle di Canaiolo, permettono vini dalle caratteristiche diverse a dipendenza del luogo in cui sono coltivate, che varia da un’altitudine situata tra i 250 e i 600 mslm. Il vino Nobile di Montepulciano con il Brunello di Montalcino sono stati i primi vini rossi a ricevere la D.O.C.G. nel 1980.

Il Nobile Montepulciano, della tavola serale, ha un 10 per cento di Foglia Tonda, antico vitigno senese, molto usato in Val d’Orcia. Al naso si apre con un erbaceo di muschio che vira alle bacche di bosco e alla liquirizia, dal corpo pieno e un tannino forte, ma non spigoloso; è il complemento ideale per la nostra Fiorentina di pura chianina allevata a pochi chilometri da qui, a Sinalunga in Val di Chiana, e, per conciliare il sonno, niente di meglio che dei «Cantucci» inzuppati nel Vin Santo prodotto da uve passite di Trebbiano Malvasia.

Ritornando verso Siena, in località di Torrenieri svoltiamo a sinistra e ci arrampichiamo sul fianco della collina che ci porta a Montalcino, cittadina che ha conservato, oltre a una parte della cinta del XIII sec., una magnifica Rocca costruita nel 1361 con alte mura ritmate di cinque torri. Di origine pre-etrusca, Montalcino in epoca comunale fu oggetto di contesa tra Siena e Firenze: le alte mura resistettero per ben quattro anni agli assedi portati dagli eserciti di Carlo V e del pontefice Clemente VII, prima di capitolare.

Il territorio di produzione del Sangiovese – qui chiamato Brunello, per sottolineare il colore scuro degli acini rispetto agli altri biotipi di Sangiovese – copre un diametro quasi circolare di 16 chilometri.

Abbiamo il privilegio di essere ospiti di Jacopo Biondi-Santi a Villa Greppo. Il Brunello di Montalcino, un emblema della viticoltura toscana è legato a doppio filo con la famiglia Biondi-Santi: fu infatti Ferruccio Biondi-Santi che nel 1888 selezionò un clone particolare di Sangiovese nella tenuta in cui siamo ospiti, e ne vinificò le uve in purezza, sottoponendo il vino da esse ottenuto a un lungo affinamento.

Dopo la sosta alla storica vigna culla del Brunello, visitiamo le cantine dove Jacopo ci mostra con orgoglio, custodite in una celletta come un tesoro, le pochissime bottiglie rimaste del 1888 e del 1891.

La degustazione in verticale di diverse annate che ne è seguita rimarrà indelebile nella nostra memoria. Ottimi poi il Rosso di Montalcino D.O.C. (Sangiovese allevato fuori dal territorio del Brunello) con la «lepre in umido» e il profumatissimo Moscadello con un trancio di «Panforte».

Scendendo verso Siena, la collina che domina la conformazione morfologica, alternando scorci coltivati a vite e ulivo al caldo colore della chiazza mediterranea. Superiamo Monteroni d’Arbia, dove vengono prodotti discreti vini bianchi, ma dove si eccelle nella produzione del Vin Santo. A malincuore sfioriamo Siena e, attraversando il fiume Elsa da Poggibonsi, svoltiamo a sinistra per entrare a San Gimignano da Porta San Giovanni, chiedendoci se per qualche miracolo temporale siamo stati sbalzati nel Medioevo. Le quattordici torri che caratterizzano il profilo di San Gimignano (nella foto) sono le superstiti delle settanta di un tempo.

Il vitigno autorizzato per la denominazione Vernaccia di San Gimignano si distingue per la qualità e l’originalità, poiché i quasi 800 ettari in cui è coltivata questa varietà possono considerarsi unici, grazie alla composizione di sabbie gialle e argille sabbiose. Armonioso è stato l’abbinamento di questo vino dagli intensi aromi di mandorla con una «sogliola alla mugnaia».

Scelto per voi

Il Bacialé

La famiglia Bologna, negli anni Settanta, ha rilanciato l’enologia astigiana, trasformando la Barbera d’Asti in uno dei vini più pregiati della regione (Bricco dell’Uccellone). Il merito va a una straordinaria figura entrata nella mitologia di queste terre con il suo vino: Giacomo Bologna, scomparso più di trent’anni or sono. Oggi sono i figli a proseguire con bravura la sua opera a Rocchetta Tanaro (AT).

Il Bacialé che oggi vi proponiamo è prodotto con uve vinificate in modo separato: Barbera, Cabernet S., Cabernet F., Merlot e Pinot Nero. È un vino dal colore rubino intenso, che si fa percepire al naso con intense sfumature di frutta a bacca nera, dove prevale l’amarena e una leggera speziatura data dal passaggio in legno. Tannini morbidi e un grado alcolico che dà calore, conferiscono a questo vino un’eccezionale struttura lungo il finale in bocca, che richiama i profumi sopra accennati.

/ Davide Comoli