Fra vitigni, castelli e tavole imbandite - Vinarte

Bacco Giramondo – Da Acqui ai vini del nord Piemonte – quarta puntata

Lasciamo Neive e seguendo la S21 superiamo Mango e poco dopo attraversiamo il fiume Belbo, qui finisce la langa cuneese, siamo nel feudo del Moscato. Su terreni misti sabbia/limo e argilla, le cosiddette «terre bianche», arriviamo in provincia di Asti nel piccolo villaggio di Loazzolo, dove è d’obbligo rifornirsi di un gioiello dell’enologia: il Loazzolo D.O.C. (Moscato), vino passito da dessert.

L’attraversamento del fiume Bormida a Monastero, ci porta nelle terre del Dolcetto d’Acqui, il rosso più significativo della zona. Prodotto in undici zone del Piemonte, il Dolcetto è il vino quotidiano per eccellenza, talmente famigliare che per secoli non attraversò i confini regionali. Da qualche anno il Dolcetto si sta scrollando di dosso quella patina di vino semplice da tutti i giorni e da tutto pasto che davvero non gli rendeva giustizia. Ricco di colore e di buon tenore quanto ad alcol e tannini, può reggere l’affinamento in legno e qualche anno in bottiglia. Raggiungiamo alla sera Acqui Terme, stazione termale, già nota fin dall’epoca romana, la nostra tappa per la notte. Nell’Enoteca Regionale, a pochi passi dalla «Bollente» degustiamo accompagnati da una rustica «fricassò» (frattaglie con polenta), un Dolcetto d’Acqui dai profumi di amarena e mirtillo. Un Dolcetto di Ovada dal profumo vinoso e di visciole, sapido, accompagna invece una matura robiola di Roccaverano, ma il vero re di questa zona è il dolce Brachetto, il primo vino rosso dolce a fregiarsi della D.O.C.G., un vino frizzante e delicato, da bersi fresco in una coppa larga.

Al mattino risaliamo la strada verso Ovada, qui prevale la monocoltura della vite, ma non c’è vigna da dove non si scorge un castello: Morasco, Cremolino, Molare, Ovada, tipica zona di produzione del Dolcetto. Si sale quindi verso Tagliolo Monferrato, Lerma circondata da un caratteristico Ricetto che domina lo strapiombo sul torrente Piota e raggiungiamo Gavi. Quando si dice Gavi, subito il pensiero degli addetti ai lavori dice: Cortese, vino bianco che veniva smerciato per palati poco esigenti alle genti rivierasche. A partire dal 1974 anno in cui il Gavi o Cortese di Gavi si fregia della D.O.C., alcune aziende hanno contribuito al miglioramento qualitativo del prodotto. Oggi troviamo Gavi leggeri, strutturati e spumantizzati (Oudart l’enologo di Cavour, fu il primo a spumantizzare il Cortese nel 1850). Dopo aver piacevolmente degustato le tre tipologie a Villa Sparina, proseguiamo verso Novi Ligure dopo aver superato il fiume Scrivia, tra colline non molto elevate con caratteristiche morfologiche molto diverse. Le colline sono tappezzate di vigneti nell’area di confine tra la provincia di Alessandria e l’Oltrepò Pavese, per raggiungere i Colli Tortonesi. Strade secondarie consentono di attraversare paesini di indubbio fascino e ricchi di suggestioni. Nel primo pomeriggio ci si ferma a Tortona, capoluogo di questo angolo a sud-est del Piemonte, la pausa pranzo ci dà modo di conoscere meglio il vitigno autoctono Timorasso che dopo decenni di sperimentazione dona un vino bianco dalle classiche note di pietra focaia, poi agrumi e spezie, di lunga persistenza.

Le zone vinicole del Piemonte non sono limitate dall’area centro-sud della regione, ma si estendono lungo vaste fasce pedemontane a ridosso di quasi tutto l’arco alpino. A Biella, prevale incontrastata l’uva Nebbiolo che assume denominazioni particolari nelle varie aree in cui è coltivata: Picoutener a Carema, Spanna nel Vercellese e Novarese, Prunent nel Verbano-Cusio-Ossola, da cui si ricavano vini strutturati adatti ad invecchiare. Molto spesso il Nebbiolo, oltre che all’unicità del terroir dove viene coltivato, gode nel disciplinare di produzione delle varie D.O.C. e D.O.C.G. dell’apporto di altri vitigni quali Vespolina, Croatina e Bonarda Novarese (Uva Rara). La fascia prealpina di queste zone offre clima e terreni molto simili, le colline moreniche hanno un substrato particolarmente acido, ricco di ferro e povero di calcare. A Lessona, il porfido sui cui è depositato un fitto strato di sedimenti marini, ci regala il Nebbiolo Lessona DOC, di grande classe; qui la storia del vino è legata alla famiglia Sella dal 1850. Altrettanto blasonato è il Bramaterra, coltivato su alcuni comuni a cavallo tra Biella e Vercelli, tra cui ricordiamo Masserano, Roasio, Villa del Bosco, Lozzolo. Di certo il più blasonato tra i Nebbioli del nord è il Gattinara, prodotto sulla riva destra del fiume Sesia, sulle propaggini orientali delle Prealpi biellesi. Qui la vite frutta su terreni poveri di humus con sottosuolo roccioso.

Appena più in là, oltre la Sesia, s’intravedono le colline di Romagnano, qui il vitigno Erbaluce prende il nome di Greco, ed è il vitigno base per la preparazione dei freschi vini bianchi del Coste del Sesia. Una rapida visita a Ghemme, l’unica D.O.C.G. in provincia di Novara, dove ci aspetta l’amico Alberto Arlunno, grande e profondo conoscitore della storia locale, il suo Ghemme Collis Breclemae 2013 c’ingolosisce e alcune bottiglie entrano a fatica nel nostro bagagliaio, sarà un vino da aprire fra qualche anno. Sulla fascia collinare più meridionale verso Novara, si trovano le due denominazioni Fara e Sizzano, dove i vitigni complementari citati sopra trovano più spazio nell’assemblaggio con il Nebbiolo. La S142, che tra i vigneti di Vespolina attraversa il «Piano Rosa», ci offre la vista di un incredibile tramonto colorato. La catena del Monte Rosa è un’immagine che ci riempie il cuore.

/ Davide Comoli