Venere e Bacco in armonia - Vinarte

Vino nella storia – Il filosofo Platone ha indicato il forte legame tra l’amore e i frutti della vite, unione che viene cantata tra l’altro anche nell’Antologia palatina

Per Platone, son le Muse ad infondere una sorta di «furore», che però essendo una forza liberatoria, egli non esita a definire di «ispirazione bacchica». Al filosofo ateniese va riconosciuto il merito di aver indicato l’originario vigore liberatorio del vino: con lui Dioniso ritorna ad essere il dio della spontaneità.

È fuori discussione che in un’ipotetica sfida la quale avesse come tema una sorta di «esegesi» bacchica e coinvolgesse i maggiori interpreti delle virtù di Dioniso, Platone, il vecchio aristocratico filosofo ateniese, guadagnerebbe la palma della vittoria.

L’opera di Platone consta di 34 dialoghi divisi in quattro gruppi: tra i principali Simposio e Repubblica, a cui vanno aggiunte tredici lettere, dove sono affrontati problemi di etica, circa il conseguimento della virtù, definita come sapienza e pertanto insegnabile. Nel complesso di orientamenti filosofici derivati da Platone e professati nella scuola da lui fondata, «l’Accademia», troviamo nella «dottrina dell’eros» (amore) la scintilla che fa accendere la lampadina per il nostro pezzo.

Al di là di ogni ragionevole dubbio è accertato che il vino predispone l’animo e il corpo ai piaceri di Venere. Come afferma infatti il filosofo, il vino ha la capacità di far diventare manifesta la parte che è latente in ogni uomo.

Questa tesi sarà sostenuta fortemente qualche secolo dopo da Ovidio, poeta latino (Sulmona 43 a.C.-. Tomi, M. Nero 17 d.C). Nella sua Arte amatoria scrive: «Varietà di vini predispongono i cuori e li rendono pronti alle passioni ardenti; cede ogni grave pensiero e si stempera fra le molte libagioni. Allora si fa strada l’allegria, allora il povero assume fierezza, allora sparisce il dolore, nonché l’ansia e le rughe dalla fronte. Allora la spontaneità, così rara al tempo nostro, discopre i pensieri, perché il dio mette bando alle finzioni. Quivi belle donne catturano cuori di giovani: fra i vini Venere vuol essere fuoco su fuoco».

Dioniso e Eros, vino e amore furono il binomio che ispirò buona parte della poesia di Anacreonte (570-485 a.C.), poeta che mai trascende nella volgarità. La sua poesia resta sempre misurata e castigata. L’Amore è il tema dominante nei suoi versi: Anacreonte non ha esitazione a usare il vino al servizio di questo sentimento, e dal momento che durante il «symposion» c’è spazio anche per l’amore recita: «Porta l’acqua, porta il vino ragazzo e portami corone di fiori che voglio fare a pugni con Eros».

L’Antologia Palatina, è una raccolta di libri (XV) in cui sono raccolti ben 3700 componimenti per lo più brevi, detti «epigrammi» dai vari contenuti, molti di questi sono inviti alla gioia e confidenze d’amore.

L’eccezionale scoperta avvenne nel 1607 in un codice del XI sec. conservato presso la Biblioteca Palatina, nella città di Heidelberg (Germania) e gli autori sono più di 300 poeti greci, distribuiti in un arco di tempo di oltre 1000 anni dal IV sec. a.C. alla tarda età bizantina.

Gli epigrammi che vogliamo proporvi, vogliono fornirvi una testimonianza dell’importante ruolo del vino nella poesia greca di questo periodo, dove il nettare sacro a Dioniso è quasi sempre messo al servizio dell’Amore.

Il primo dei poeti che abbiamo scelto è Asclepiade (Samo 310 a.C.), 45 sono gli epigrammi di argomento amoroso e d’intonazione pessimistica che lo collocano tra i maggiori poeti della sua epoca: «Il vino è la spia dell’amore. Negava di essere innamorato, Nicàgora, ma i brindisi lo hanno smascherato. Piangeva, con la testa tremante e lo sguardo abbassato. Mentre la ghirlanda lentamente gli scivolava dal capo».

Solo attraverso l’Antologia Palatina è stato possibile conoscere uno dei grandi della poesia greca, Melandro (140 ca. Gadara oggi Umm Qeih – Palestina) ecco uno dei suoi 134 epigrammi: «La coppia esulta di gioia perché ha toccato la garrula bocca di Zenofila, amica dell’amore. Felice lei! Oh, se ora accostando le sue labbra alle mie mi bevesse d’un fiato l’anima».

Il ciclo di maturazione dell’uva, diventa metafora delle fasi di un rapporto amoroso, che tuttavia l’Autore Anonimo vorrebbe in qualche modo concretizzare: «Grappolo acerbo, non m’accettasti. Grappolo maturo, passasti oltre. Non rifiutarmi, ti prego, qualche chicco di uva passa».

Di Rufino, un altro poeta dell’Antologia Palatina, del quale ignoriamo sia il luogo di nascita sia dove è vissuto, per qualcuno va collocato alla fine del I sec. d.C.: in questo epigramma il poeta propone il vino come rimedio alle fuggevoli gioie della vita: «Facciamo il bagno, Prodice. Incoroniamoci e tracanniamo vino puro (àcraton) levando le grandi coppe. Breve è la durata delle gioie. Poi, per il resto del tempo ce le proibirà la vecchia e, alla fine, la morte».

Sempre di Rufino il seguente epigramma dimostra quanto sia potente l’alleanza tra Dioniso e Eros, quando vogliono vincere sulla Ragione umana: «Ho una robusta corazza per difendermi: la Ragione, e il grande Eros, uno contro uno, non mi piega. Uomo contro dio: e tuttavia gli resisto. Se però chiama Bacco a sostenerlo, io da solo contro due, come faccio?».

Vorremmo chiudere con un brano che a noi piace molto, è forse il più bel complimento che si possa fare alla donna di cui si è innamorati: l’autore è Macedonio Console, pare nato a Salonicco (l’antica Tessalonica) e vissuto intorno al VI sec. d.C. «Durante la vendemmia, cogliendo il grappolo nessuno straccia anche i viticci. Te, amor mio dalle rosee braccia, te stringo a me, in morbidi amplessi e faccio una vendemmia d’amore. Non so aspettare un’altra primavera né un’altra estate, tanto tu sei colma di grazie! Possa il tuo fiore non sfiorire mai: ma se spunterà qualche ribelle viticcio di rughe, non lo vedrò, perché ti amo».

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Petit Vignoble AOC Yvorne
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/ Davide Comoli