Dedicato a Ovidio - Vinarte

Vino nella storia – Un dovuto omaggio al poeta che interpretò Bacco per elargire consigli sulla tecnica amatoria con dolci parole che ancora oggi risuonano in noi

Dopo aver abbandonato quei letterati che pur avevano celebrato la vita agreste (vedi Virgilio), ma che avevano manifestato se non proprio diffidenza una certa prudenza nei confronti del suo dono, Bacco andò in cerca di chi voleva sperimentare un’esistenza piena, fatta di contraddizioni.

L’invasamento bacchico colpì il malinconico Tibullo che, nel suo Corpus Tibullianum, descrive la sua segreta aspirazione a una modesta vita serena in una modesta casa, al calore di una bella fanciulla e a una pace interiore che una coppa di vino poteva garantire: «Adde merum vinoque novos compesce dolores…» («Versa vino e col vino esprimi i nuovi dolori»).

Il divin licore, nel primo periodo imperiale, tolse un po’ ai Romani la corazza, la spada, la lancia, lo scudo e li avviò a battaglie più seducenti. Bacco e Venere diventarono l’accoppiata vincente; conquistarono sempre più nuovi estimatori, suscitando nuove emozioni e rendendo più stuzzicante la loro esistenza.
Di certo Bacco doveva nutrire una particolare simpatia per Ovidio, fine conoscitore della psiche femminile, abile nella conversazione, impeccabile nell’arte della seduzione.

Publio Ovidio Nasone (Sulmona 43 a.C.-Tomi 17 d.C.), fece parte del circolo letterario di Messala Corvino. Era la Roma dei salotti, delle feste, del passeggio nel Foro, e Ovidio nell’anno 1-2 d.C. era un raffinato poeta e idolo dei circoli mondani della capitale. E lo fu proprio durante quel periodo in cui vigeva l’austera politica culturale voluta da Augusto, dal quale venne esiliato perché implicato per un oscuro scandalo di corte, sulle rive del Mar Nero a Tomi, dove morì. Tra le innumerevoli sue opere ricordiamo: Gli amori, Lettere dal Mar Nero, il suo capolavoro le Metamorfosi, opere dell’esilio come Tristezze e soprattutto quello che interessa a noi per i versi dedicati alle lodi del vino: L’arte amatoria.

Ars amatoria è un poema in tre libri. Codice ardito di tattica galante, contiene una trama di maliziosi suggerimenti rivolti agli ingenui o ai timidi, ma anche agli sperimentati cultori della pratica erotica, siano essi uomini o donne.

Egli descrive infatti con una fluida eleganza poetica, consuetudini della vita pubblica, ma anche particolari nascosti della vita privata e dell’intimità sessuale, cogliendone il senso dell’amore, ma inteso come schermaglia galante, intrisa di fuggevoli emozioni e malizia, senza drammi.

I versi di Ovidio sono pregni di vino, strumento capace di agevolare il rapporto amoroso e, dopo 2000 anni, mantengono intatta la loro freschezza come un Falerno prodotto sotto il consolato di Opimio.
Ovidio usa la mensa quale scopo recondito e sottile per la sua Ars Amatoria: i conviti forniscono occasione d’incontro; c’è qualcosa da cercare (ci consiglia) oltre al vino.

Dal Primo libro dell’Ars Amatoria (VV 229-246) citiamo: «Anche i banchetti, con la tavola imbandita, offrono buoni approcci, e qualche cosa d’altro ci potrai trovare, oltre al buon vino. Là spesso Amore con le tenere mani afferra e tiene ferme, splendente di giovinezza, le corna del dio Bacco che sta a mensa; e quando il vino ha impregnato le ali di Cupido, allora il dio si ferma, appesantito, seduto saldamente al posto conquistato. Egli sì vola rapido via battendo le ali bagnate ma guai se le gocce lanciate da Amore ti toccano il petto. Il vino dispone l’animo all’amore e lo rende pronto alla passione: l’inquietudine fugge e si dissolve con il vino abbondante: allora nasce il riso, ed anche un pover’uomo si fa audace: allora se ne vanno affanni e rughe sulla fronte, e la sincerità, nel nostro tempo così rara, rende aperti i cuori giacché il divino Bacco bandisce ogni artificio. Là spesso le ragazze rubano il cuore ai giovani, e Venere, col vino, è fuoco aggiunto al fuoco. Ma tu non creder troppo all’ingannevole lucerna, la notte e il vino non sono adatti a giudicare la bellezza…».

Proseguendo la lettura, qualche verso più avanti (VV 565-582 e 589-602) notiamo la premura di Ovidio di fornire utili e oculati consigli sull’uso del vino nel corso delle schermaglie amorose ai cosiddetti «sciupafemmine» dell’epoca romana, scrive: «Quando dunque ti saranno sulla mensa offerti i doni di Bacco e avrai una donna accanto a te sul letto tricliniare, prega il padre Nyctelio (Bacco) e i sacri riti della notte e di far sì che il vino non ti dia alla testa. Allora con parole coperte potrai dire molte frasi allusive che lei intenda come rivolte a sé. Potrai con poche gocce di vino scrivere leggere lusinghe così che sulla tavola lei legga d’esser la padrona del tuo cuore; potrai guardarla negli occhi con occhi che rivelano il tuo amore: anche uno sguardo muto ha spesso voce e parola».

Ovidio è un brillante maestro di un pubblico sensibile e la sua poesia passa dall’insegnamento amoroso alla favola dotta; fondamentali nell’ambiente che lo circonda sono la simulazione dei sentimenti e l’astuzia.

Nella sua Ars Amatoria spesso ripete: fallite fallentes, ovvero ingannate chi v’inganna, rivolto agli uomini (I VV 645), ma qualcosa di simile ripete alle donne (III VV 401) avendo l’accortezza di fornire pure alle signore (ricorrendo anche all’aiuto del vino) preziosi consigli sull’arte di amare e farsi amare (III VV 751-768: «Quando dovrai recarti a una festa… arriva in ritardo, e con eleganza fa il tuo ingresso a lampade già accese: giungerai gradita per l’attesa; l’attesa è un’ottima mezzana. Se anche sei brutta, sembrerai bella a chi ha bevuto, e sarà l’ombra della notte a tenere nascosti i tuoi difetti. Prendi cibi con le dita (c’è uno stile anche nel mangiare) e con la mano sporca non ungerti la faccia. Non prender nulla a casa, avanti cena, ma fermati prima d’esser sazia». Poi continua con un utile consiglio: «Più adatto alle ragazze è il bere, e può essere anche più elegante, ma anche questo finché la testa lo sopporta, e la mente e le gambe stanno salde: insomma, se la cosa è una non vederla doppia. Brutto è vedere una donna distesa, fradicia di vino».

«Hic ego qui iaceo», così incomincia la breve nota scolpita sul monumento funebre situato sulla piazza a lui dedicata nella città di Costanza (Mar Nero, Romania); ci siamo fermati di fronte pochi giorni fa, e abbiamo constatato quanto dura fosse la punizione per chi trasgrediva le leggi di Roma. «Hic levo carmine quo possum tristia fata» («Qui allevio come posso con il canto i tristi destini»). Ad Ovidio, il vero grande autentico cantore del vino, abbiamo librato un calice di una dorata, dolce e profumatissima Tamaioasa Romaneasca.

Scelto per voi

Sarabande Hauser

Arrivato in Ticino alla fine degli anni Novanta, dopo la laurea in ingegneria elettrotecnica, Urs Hauser si è innamorato del nostro cantone e, come dice lui: «La bellezza della natura che si vive e respira nei vigneti mi hanno motivato». Con la moglie ha comprato una casa a Contone e oggi, con molti sacrifici e investimenti, da autodidatta alleva e vinifica le uve di circa venti vigneti, alcuni vecchi e di difficile accesso, tra la pianura (un terzo) e i ripidi pendii del Monte Ceneri (due terzi), per un totale di 4,5 ettari.

Tra i molti vitigni coltivati (75% Merlot), oggi per voi abbiamo scelto il suo Sauvignon, il 5% della produzione.

Il Sarabande di casa Hauser ci ha colpito per la sua freschezza aromatica e persistenza gustativa. Dal colore giallo paglierino, al naso presenta una buona intensità, dall’erbaceo, salvia, ortica, i profumi evolvono verso il floreale, fiori di sambuco per virare sul fruttato, ananas e mango; una discreta componente alcolica e struttura sono sostenute da una buona acidità. Da servire fresco 10°-12° C con spaghetti alle vongole, formaggi caprini freschi, ma noi lo abbiamo sposato in modo divino con un fritto misto di lago. 

/ Davide Comoli