«Campania Felix» - Vinarte

Bacco giramondo – Una piacevole rassegna sui vini di questa regione italiana – Prima parte

Affacciata sulla costa del Mar Tirreno la Campania è una regione dal territorio piuttosto eterogeneo, con le aree interne decisamente montuose, alle quali seguono in direzione ovest aree collinari e pianeggianti, fino a raggiungere la fascia costiera che scivola nel mare, dal quale emergono alcune isole di una certa estensione come Capri, Ischia e Procida.

Ricco in genere di acque, il territorio campano è molto fertile e accoglie diverse colture agricole, tra le quali un posto di assoluto primo piano è quello ricoperto dalla vite, la quale ha scritto pagine indimenticabili nella storia della produzione del vino con nomi che sono rimasti indelebili nella memoria degli uomini come il Falerno, il Cecubo, il Caleno e altri ancora. Il nome Campania apparve nel V sec. a.C. e servì a designare il fertile territorio intorno a Capua, «l’ager campanis».

Dal punto di vista storico-vinicolo, la zona più interessante della Campania è situata tra il monte Massico e il fiume Volturno. Molto probabilmente la coltivazione della vite in questa regione è antecedente al XII sec. a.C., quando prima gli Etruschi dal nord e dal centro, in seguito i Greci via mare, cominciarono a insediarsi in queste terre, dove trovarono popolazioni che già conoscevano l’arte della viticoltura: a loro fu sufficiente migliorare le tecniche di vinificazione e di coltivazione. Ne conseguì un’estensione della coltura di vitigni di grande pregio, tanto che più tardi, in età romana, i vini della «Campania Felix» allietavano le mense dei senatori e patrizi romani, ed erano considerati tra i più rinomati di  quell’epoca. Lo spazio tiranno non ci permette di parlarvi di questi vini, ma ci riserveremo il piacere di descriverli in altra sede.

La caduta dell’Impero Romano e l’inizio del Medioevo vedono una crisi profonda dell’agricoltura, comune peraltro a tutta la Penisola. Intorno al X sec. d.C. si riscontra un certo risveglio: nel 1529 Sante Lancerio dà un quadro eccezionale dei vini campani citandone nella sua opera I vini d’Italia, ben 53 e quasi nello stesso anno Giovanni Battista Della Porta nel suo Villae Libri XII evidenzia la fiorente viticoltura campana. Con il sec. XVII, il panorama vinicolo si modifica e inizia un certo declino con la prevalenza di alcuni vitigni su altri.

Solo verso la fine degli anni 70 del secolo scorso si ha un cambio di tendenza e nell’ultimo decennio la Campania sembra voler riprendere il ruolo di leader qualitativo della produzione vitivinicola che fu sua nei secoli passati. La varietà dei terreni e dei climi che questa regione offre determinano anche una straordinaria moltitudine di tipologie di vini e di caratteristiche organolettiche, anche nei vini che derivano da analoghi vitigni.

Il vigneto campano si estende per ca. 24’000 ettari, i sistemi di allevamento più diffusi sono il guyot e il cordone speronato, ma resistono forme più antiche (l’Italia è la nazione al mondo con più forme differenti d’allevamento al mondo, Etruschi, Greci e Romani, hanno lasciato le loro tracce). Troviamo quindi la pergola e l’alberello, senza dimenticare l’alberata aversana, nella quale le viti si arrampicano su filari posti tra 2 pioppi, con i grappoli che si possono trovare fino a 15 m dal suolo. Probabilmente è la particolare conformazione dei terreni uno dei motivi dell’eccezionale varietà di vitigni autoctoni: sono più di 100 quelli riconosciuti, la maggior parte a bacca bianca, che danno una produzione estremamente frammentata.

Questa valanga di vini, provenienti da zone differenti, trovano il giusto matrimonio con i piatti della cucina campana, considerata una tra le più salubri della gastronomia italiana, forse l’emblema della cucina mediterranea, ricca di colori e di profumi, in grado di regalare sensazioni saporose, sia con i piatti di terra che di mare.

Andiamo quindi a conoscere qualcuno di questi vitigni allevati nel vigneto campano. Tra i vitigni a bacca bianca spicca la Falanghina: il nome viene associato a due «diversi vitigni» la Falanghina dei Campi Flegrei che dà vini delicati da bere giovani e la Falanghina del Sannio, i cui vini hanno più struttura e sono più longevi.

Un altro vitigno interessante è il Greco, le cui uve maturano in ottobre e donano vini da bere in gioventù, ricchi di profumi fruttati e floreali (biancospino-gelsomino), ma notevoli soprattutto al gusto, con spiccata mineralità.

Il Fiano è un vitigno che matura verso la fine di settembre, con le sue uve si ottengono vini molto interessanti, soprattutto a livello olfattivo, donandoci sensazioni di straordinaria complessità. Il Coda di Volpe deve il suo nome alla forma del grappolo, utilizzato spesso in uvaggio con la Falanghina; viene, soprattutto nella provincia di Benevento, vinificato in purezza e dona vini morbidi e di corpo. L’Asprinio è un vitigno antichissimo, già il nome dice tutto sulla sua acidità, questa sua particolarità lo rende adatto alla produzione di vini spumanti piacevolmente profumati.

Il Pallagrello Bianco, regala note aggrumate e di frutta esotica ai vini in cui viene usato come uvaggio. Andremo prossimamente alla scoperta delle zone dove questi vitigni vengono allevati, in modo da conoscere meglio questa regione che racconta storie di civiltà millenarie.

Tra i vitigni a bacca nera il più diffuso è l’Aglianico, che ha nella tannicità e nella potenza le migliori prerogative del vino prodotto, che possono essere diverse a dipendenza dell’ambiente pedoclimatico e che per la sua complessità ha pochi eguali nel panorama enologico.

Il Piedirosso, chiamato localmente «Per’ e Palummo» (piede di colomba) per il colore rossastro della parte alta del raspo, è l’uva più diffusa nella provincia di Napoli, soprattutto nelle isole, il vino prodotto esprime profumi di frutti a bacca rossa (ciliegie) con tannini delicati.

Altri autoctoni sono il Pallagrello Nero, il Casavecchia, la Guarnaccia il Tintore e lo Sciascinoso, che rappresentano ottimi complementari per la produzione di vini ottenuti dalle uve più coltivate. Soprattutto in provincia di Salerno troviamo anche il Merlot, il Sangiovese e il Cabernet Sauvignon.

Scelto per voi

Rosato Alghero

Con i suoi quasi sette milioni di bottiglie prodotte, Sella & Mosca è la più grande realtà produttiva della Sardegna. Negli ultimi anni ha conosciuto un’importante crescita qualitativa, focalizzata soprattutto su bianchi prodotti con uve tradizionali, ma il grosso della produzione è rappresentato da vini rossi. Oggi per voi abbiamo scelto il Rosato Alghero, prodotto con la vinificazione in rosato delle uve Sangiovese e vitigni autoctoni. È un «blend» dal colore rosato buccia di cipolla, fragrante e delizioso, dai profumi di lamponi, mele e petali di rose, con un’intrigante intreccio aggrumato e un nonsoché di profumo di mare. Al palato è salino e fresco con un finale lungo e piacevole. Il Rosato Alghero è un ottimo vino da usare come aperitivo per le prime tipiche serate all’aperto, ottimo con pomodori e melanzane gratinate, Caesar salad con pollo e noi lo consigliamo con brodetti o zuppette di pesce. Provatelo con una «zuppa di vongole o cozze» dove entrano i pomodori, aglio, prezzemolo, olio extravergine d’oliva e fette di pane abbrustolito.

/ Davide Comoli